ANTONIO CAPILUPI 1957

Alla memoria di mia madre il cui

Sorriso illumina ancora i miei sogni.

PREMESSA

Chiunque si accinge a dare notizie del proprio paese può essere tentato a nobilitarne la storia magari povera a poco suffragata da documenti o testimonianze. Ma quando la storia è solo e semplicemente narrazione delle vicende di un popolo che con la tenacia costante di intere generazioni ha strappato alla terra il poco che poteva dare sicuri che nel racconto semplice e schietto si questa lotta che ancora continua, c’è tutta la grandezza e nobiltà della nostra gente.

Forse, e bisogna ammetterlo, le nostre popolazioni hanno subito la storia nel senso che l’accavallarsi degli eventi, lo scorrere stesso del tempo, gli stessi cambiamenti e fenomeni di ordine geologico hanno seterminato particolari circostanze, creato fattori di indubbia importanza per cui si è verificato un certo adeguamento dell’uomo alla storia, una certa rassegnazione nel seguirne il corso. E credo che ciò può aver valore anche per altre terre e per altre genti fino a che un uomo politico, un conquistatore, un pensatore filosofo, una scoperta, un rivolgimento sociale un fenomeno di evoluzione e di accentuato progresso che può anche determinarsi in seguito, non danno l’importanza ad un secolo, vivificandolo.

Oggi, nelle nostre terre, sono evidenti i segni si questa evoluzione gigantesca: è incominciata anche per noi la vera storia. Storia di attività e di progresso, di conquiste sociali e di democrazia. Ho ritenuto opportuna questa premessa con la certezza che mi si userà venia se alla mancanza di documenti e di sicure fonti storiche cercherò di sopperire collegando per via di logica supposizione le notizie e le documentazioni frammentarie, con la preoccupazione costante di non cadere nel soggettivismo in modo che le mie conclusioni possano essere accettate anche fa chi giudica con spirito di critica per un insopprimibile amore di verità

PENTONE E LE SUE ORIGINI

capitolo I°

Pentone dista da Catanzaro circa dodici chilometri, confina conn il suo territorio ed ha in comune con il Capoluogo l’incantevole frazione di S.elia posta a mezza strada tra i due centri.

Alta 708 metri sul livello del mare, posta in una conca amena e salubre tra i primi contrafforti della Piccola Sila, offre al visitatore uno spettacolo indimenticabile no disgiunto da un senso di benessere per la pulizia delle strade e il decoro delle case.

La popolazione presente si aggira sui duemila abitanti. La cifra è fluida in quanto il movimento migratorio è continuo in un paese che non ha altre risorse degne di rilievo. Attualmente si trovano all’estero o comunque fuori di Pentone circa ottocento e più cittadini

Pentone, per il nome, ha dato origine alle satire mordaci di chiunque abbia conoscenza della lingua greca. Perché dal greco si pensa che derivi il nome, come altri paesi della fascia ionica, oltre a molte parole che compongono il suo dialetto.

Dunque, Pentone in greco significa: cinque asini. I Pentonsi si sono sempre difesi dicenso che a Pentone gli asini furono solo cinque mentre non si conosce il numero esatto di quelli esistenti negli altri paesi.

Qualcuno, molto attendibilmente, assume che Pentone è una contradizione del nome Penticone, il che significherebbe: cinque icone. Tante difatti ne esistevano prima e di più ne esistono ora cappelline nella zana dove sorge l’abitato. Qualche altro dà una spiegazione un po’ sentimentale ma che soddisfa la logica e ben si adatta alle origini piuttosto recenti del paese. Secondo questa versione il nome deriverebbe da un fondo chiamato (Ntoni) dal nome del suo proprietario, così com’è usanza nelle nostre terre. I Pentonsi che si recavano a Catanzaro quando ancora non esisteva la strada, dicevano: << vaju ppè Ntoni>>. Alrti dicono che i fondi che si attraversavano erano due, uno di “Peppi” e l’altro di “Ntoni” donde Pentoni e poi Pentone. Infine la versione più poetica è più verosimile: il nome Pentone deriva dalla prevalenza di vigneti nella zona ove si formò l’abitato e sarebbe il composto risultante dal greco Panta-Oinos = Tutto-Vigne.

Capitolo II°

Circa l’epoca in cui sorse il mio paese, nulla si sa di preciso. Nella parte bassa che è la più antica, si andarono raggruppando delle abitazioni le quali, insieme, formarono un casale. Tuttora quella zona è chiamata <<Jesu Casale>> cioè il casale di sotto. Questa parte, oggi, forma la base del calice di cui Pentone assume la forma, specie se guardato dall’altura di Cafarda. Il villaggio che si venne a formare ebbe una chiesetta dedicata a S. Giuseppe e a S. Barbara. In seguito, estendendosi l’abitato si ebbe la parrocchia.

Possiamo con una certa approssimazione stabilire l’anno in cui Pentone assurse al rango di parrocchia. Forse il 1500. Origine quindi recente. Niente antiche glorie, miti o battaglie. I padri Brasiliani, venuti dalle Péuglie e che nella vicina Taverna avevano un loro monastero, introdussero e diffusero la devozione a S. Nicola di Bari che fu il protettore di Pentone. Comprotettore fu S. Vincenzo Ferreri di cui si conosceva nella chiesa la statua più antica. Forse furono questi padri Brasiliani a promuovere e a far realizzare la costruzione della Chiesa attuale, dedicata appunto a S. Nicola di Bari. Certo che questi monaci si resero benemeriti per l’opera di rimboschimento da essi compiuta ne dintorni dell’abitato, martoriato dalle frane.

I pochi documenti, conservati con amore e passione di studioso, dal dottore Vincenzo De Laurenzi, si riferiscono ad epoche relativamente recenti. Consistono in notizie di carattere ecclesiastico, resoconti di festeggiamenti della Madonna di Termine, atti parrocchiali . il tutto ha un persistente tono religioso. Pochissimi e di scarso valore i documenti relativi alla vita civile e amministrativa del paese. Talchè è impossibile dire con certezza quando Pentone si costruì in comune autonomo. Si sa che per lungo tempo esso fu sotto la giurisdizione della vicina Fossato Serralta.

Le date incominciano ad acquistare consistenza verso il 1600. da questo periodo la storia di Pentone si identifica con le tradizioni religiose e con lo sviluppo delle istituzioni cristiane. Più precisamente si potrebbe dire che la storia di Pentone è intimamente connessa alla apparizione miracolosa della Madonna a una giovane contadina del luogo chiamata Maria Madia. Il fenomeno, che doveva importare di se tutta la vita della nostra gente, avvenne in località “Termine”. Già nel 1608 Termine risulta su di un’antica carta geografica della Calabria. C’è però un’altra data precisa ed è quella delle carte geografiche vaticane eseguite dal fiorentino Ignazio Danti intorno al 1500 per incarico del Papa Gregorio XIII. Su queste carte figura il nome “TERMANE” con un tratteggiato di abitazioni presso a poco nella zona dove oggi sorge il santuario dedicato alla Madonna , detta appunto delle “Trache” o di “Termine”. Se ne desume che, in seguito ad alluvioni, franamenti o terremoti questo agglomerato di abitazioni cessò di esistere e gli abitanti vennero ad unirsi a quelli che, poco lontano, avevano fondato un villaggio. O forse, stando alla data delle carte del fiorentino Danti, furono proprio gli abitanti della antica <<Termane>>, distrutta da calamità naturali, a formare il primo nucleo del nuovo abitato che poi si chiamò Pentone? Sarebbe supponibile.

Capitolo III°

La vita si svolge relativamente pacifica in quello che fu detto il paese della Madonna o anche il paese dei preti. Schiere di sacerdoti uscirono difatti dal suo grembo diffondendo ovunque l’ansia del bene e la pratica delle virtù cristiane. Ben cinque fratelli Capilupi furono sacerdoti contemporaneamente. Fuori dalle grandi vie di comunicazione, Pentone si tenne tranquilla. Gli eserciti dei conquistatori passarono al largo e il piccolo paesello restò immune anche dalla piaga del brigantaggio. Solo il famigerato Giosafatte Talarico calò sulle montagne di Pentone ma lo fece solo pwe avvicinarsi in devoto raccoglimento al Santuario della Madonna di Termine di cui, si diceva, portasse costantemente uno scapolare. Nel 1619 venne istituita la Confraternita del SS. Rosario, una delle prime costituite dopo la battaglia di Lepanto.

D’altro canto i Pentonsi lavoravano sodo per carpire alla terra avara il poco che poteva dare. Il castagno e l’ulivo furono le piante più coltivate. Ancora oggi sui frutti di questi alberi s’impernia tutta la vita agricola dei pentonesi. Poi s’industriavano nei boschi a far carboni. Divennero rinomati in questo campo e la loro opera veniva richiesta anche nei paesi vicini. Era il tempo in cui alle donno che pigliavano marito veniva dato, come complemento indispensabile dalla loro dote, <<u carpitellu>> (pezzo di stoffa ruvida che serviva da copricapo e da riparo per le intemperie), <<a corda>> e l’accetta. Vita dura, quindi, nei boschi e nelle campagne per gli uomini e le donne. Lo sfruttamento dei boschi ridusse la produzione del carbone e il pentonese rivolse tutto all’agricoltura divenendo un provetto lavoratore dei campi. Per necessità e vitrù dovette dedicarsi alla costruzione dei muri a secco sui fianchi delle montagne o sui ripidi pendii che fanno ala ai torrenti. Spesso la terra veniva portata a spalla sulle terrazze formate dai muri a secco. E ogni anno, dopo l’invero, con pazienza e tenacia ricostruivano i muri crollati per le piogge.

Ma è naturale, non si potè avere mai produzione agricola bastevole, in genere, ai bisogni della popolazione sempre crescente, dato il carattere aspro e particolarmente accidentato del terreno. Il pentonese divenne così in lavorante di giornata, <<jornateri>> e da allora cominciò quella ricerca affannosa di lavoro fuori del proprio paese, che dura tuttora.

I Pentonesi, bravi e versatili lavoratori, artigiani provetti ed operai specializzati, si trovano sotto tutte le latitudini: dall’Europa all’Africa, dalle Americhe all’Australia. A questo flusso emigratorio, a questa fonte di benessere Pentone deve una certa agiatezza che riflette nelle case e nel loro arredamento, nel modi di vestire e nell’indice di consumo, specie di prodotti alimentari; indice che, dalle statistiche veterinarie e dell’Ufficio Imposte, risulta il più alto del circondario.

A questo punto è necessario stabilire, sia pure approssimativamente. L’anno in cui Pentone divenne Comune autonomo. Come già detto, non esistono documenti, ma si ha notizia che ciò dovette avvenire fra il 1812 e il 1818. questo ritardo a darsi un’autonomia amministrativa è da ricercarsi nella indole stessa degli abitanti, un po’ avulsi da posizioni d’intransigenza, amanti della vita serena, anche se dura, all’ombra del campanile, sensibili agli episodi di bontà, tutti chiusi nella bellezza delle tradizioni religiose. Essi furono definiti dai catanzaresi: Pentunisi amarusi. Un popolo tranquillo.

Ma quando la diana del Risorgimento suonò dalle Alpi alla Sicilia, anche nei Pentonesi di ridestano certi sopiti, ma mai spenti, sentimenti di indipendenza, anche dall’umile paesello uscirono schiere di patrioti amanti della libertà. Si ebbero uomini di pensiero e di azione. Gli ideali di giustizia sociale, di libertà, di patriottismo avevano esercitato il loro fascino anche sulla nostra gente.

E furono i De Laurenzi, tra i quali molti sacerdoti, ad apporsi a la tirannia e all’oscurantismo borbonico. Volarono anche delle schioppettate con la gendarmeria del Re delle Due Sicilie. Poi il canonico Giuseppe Lice, bella e nobile figura di sacerdote, di patriota e di pensatore, il quale a Napoli aveva tenuto cattedra di filosofia e ne era stato in seguito privato per l’impronta di libertà che aveva dato al suo insegnamento, si diede alla preparazione dei giovani agli ideali di emancipazione, di progresso e di umana dignità.

*Fu il canonico Lice ad istituire a Catanzaro, insieme a Luigi Settembrini la <<Giovane Italia>>, che, fondata da Mazzini, raccoglieva nelle sue file gli italiani migliori. E il Settembrini, di questa preziosa collaborazione, dell’entusiasmo di questo sacerdote, della non mai spenta fiamma di amor patrio, si ricordò nelle sue <<Memorie>>

*Notizie non storicamente certe

Capitolo IV°

L’abitato ere cresciuto bello e pittoresco, pulito e civettuolo con i fiori che troviamo sulle terrazze delle case. Intorno prosperavano gli ulivi e s’indoravano al sole le vigne.

Tanti giovani fin da allora si avvicinavano agli studi e, tenendo presente il numero degli abitanti, la percentuale degli studiosi fu sempre alta e lo è tuttora. Le proibitive condizioni economiche in tempi in cui gli studi erano privilegio di pochi fortunati, i disagi e le asprezze quotidiane di una vita dura e, a volte, vuota di speranze, non riuscivano a spegnere nei giovani Pentonesi l’ansia di istruirsi e di curare la propria educazione intellettuale e morale. Quando fra Catanzaro e Pentone venne aperta la strada e si abbandono la tradizione mulattiera di montagna, sembrò che più di una intensificazione degli scambi e dei rapporti commerciali, un flusso e riflusso continuo di idee, di pensieri, di propositi nobili, di contatti culturali unisse i Pentonesi con gli abitanti della città. Della realizzazione di questa strada, che ci tolse dall’isolamento, il merito va al Rev. Don. Vincenzo De Laurenzi che seppe far valere il buon senso e la logica presso le Autorità di Catanzaro e particolarmente presso il Sindaco del tempo marchese De Seta. La prima carrozza che arrivò a Pentone, via Termine, segnò l’inizio di una nuova ere per il nostro paese.

Ai primi di questo secolo, poi, anche il collegamento con Cafarda, ove passa l’importantissima strada che va da Cosenza nel Crotonese e da cui si diparte il tronco che mena in Sila, fu realizzato. Sorse così uno degli incroci stradali più importanti della Calabria, in un luogo veramente incantevole, da dove si dominano tutti i contrafforti della Sila fino al mare. Il nome <<Cafard>> significa nostalgia, malinconia. Ma intorno, ovunque, sembra riflettersi al bellezza dei luoghi, popolati da castagni giganteschi e pieni di fresche sorgenti. La creazione di una stazione climatica in questo posto contribuirebbe grandemente allo sviluppo del turismo in Calabria. Da Cafarda si delimita l’arco meraviglioso delle montagne che circondano Pentone e dall’alto delle quali si denomina tutta la fascia ionica da Crotone a Noverato, mentre dall’altra parte si scorge la linea azzurra del Tirreno. Dal cuore di queste montagne sgorga dell’acqua leggera, salubre e freschissima detta <<Acqua della Nocella>>, cos’ si apprezzata ovunque, specie a Catanzaro, dove una volta veniva portata in appositi carri coperti di verzura quando infuriava la canicola.

Certamente la circostante bellezza naturale ha contribuito a sviluppare nei pentonesi il gusto del bello e del pittoresco. I vecchi ricordano il tempietto botanico che veniva allestito in occasione della festa della Madonna del S. Rosario, sulla piazza principale del paese. Una specie di baldacchino preceduto fa un peristilio di colonne fatte con giovani alberelli dei boschi,sapientemente ed artisticamente potati. Pinnacoli di verde e fiori completavano l’abbellimento.

I luoghi così belli e l’arco perfetto delle montagne, oltre che la tradizione della miracolosa apparizione della Madonna, hanno suggerito ai pentonesi il viaggio montanaro della Statua della Vergine delle Grazie verso il Santuario omonimo che dista tre chilometri dal centro dell’abitato e la fantastica illuminazione, a sera, delle creste montagnose, durante i giorni della festa che culmina nella seconda domenica di settembre.

E’, questo, uno spettacolo unico nel suo genere. Chilometri di vette illuminate da batuffoli imbevuti di nafta (prima l’illuminazione veniva fatta con fascine di legna) sorretti da un filo di ferro che corre lungo le creste. Lo spettacolo, che ha del grandioso e del fantastico insieme e che si manifesta come per incanto al tocco della campana, è visibile da tutti i paesi viciniori e della stessa Catanzaro. Dà l’idea di una costellazione che si sia abbassata sulla terra, disponendosi in bell’ordine sulle vette intorno al Santuario, quasi a fargli corona.

Capitolo V°

I pentonesi sono dotati di un certo <<humor>>. Spesso gli strali delle rime popolari si sono rivolti con una certa acredine verso episodi boccacceschi o hanno messo alla berlina, diciamo così, persone e fatti relativi alle elezioni comunali. Questa sensibilità, accompagnata da una profonda passione per la musica, ha spesso prodotto piccoli capolavori di poesie e di canzoni che hanno fatto il giro del circondario. Nativo di Pentone era il poeta Citriniti, una delle più popolari figure della vecchia Catanzaro.

L’ospitalità costituisce la caratteristica dominante dell’indole dei pentonesi. Si ricordano episodi gentili di spontanea generosità. Durante la prima guerra mondiale le donne di Pentone uscirono con i cesti colmi dei frutti della nostra terra per offrirli ai prigionieri austriaci in transito, diretti verso la Sila. E nel periodo più tragico della seconda guerra mondiale circa settemila catanzaresi ebbero ospitalità nel piccolo paesello che per tradizioni e costumi è indissolubilmente legato alla città vicina.

Con la stessa generosità hanno fatto olocausto della loro vita alla Patria i figli migliori di Pentone i cui nomi sono eternati nel marmo del Monumento ai Caduti, all’ombra del gigantesco e secolare albero di pino che sembra racchiudere tra i suoi vecchi rami e nel sussurro delle sue foglie aghiformi tutta la storia, le lacrime, le gioie, le conquiste dei pentonesi. Così, con dedizione suprema, perse la sua vita il S. T. Francesco Capilupi, medaglia d’argento alla memoria, il primo ufficiale italiano caduto in Grecia nel 1940; con la stessa abnegazione consumò la sua esistenza nel lontano Nuovo Messico il padre gesuita Camillo Capilupi, pioniere della Fede e della Redenzione dell’infanzia abbandonata. In mezzo a privazioni, persecuzioni e torture egli fondò in quelle terre lontane, un Istituto per l’educazione dei bimbi che ancora porta il suo nome.

Se, come già detto, nel campo delle lettere e delle scienze Pentone può vantare una forte percentuale di studiosi, non può contare, almeno per gli anni scorsi, su nessuna pubblicazione di grande rilievo. Forse esisteranno manoscritti inediti nelle biblioteche di famiglia. Si sa che molti hanno coltivato gli studi di filosofia e di medicina di letteratura e belle arti. Di recente ha visto la luce, per i tipi dell’editore Gastaldi di Milano, un fortunato romanzo del professore pentonese Sebastiano Madìa, ordinario di latino e greco nei licei. L’opera reca un titolo: La greppia d’oro, che suona aperta condanna per la società moderna. Vi è narrata la odissea un uomo onesto in mezzo alla corruzione generale. Dello stesso professore è stato pubblicato, sempre dal Gastaldi, un secondo romanzo dal titolo: Spine. Il Madia ha pubblicato alcuni pregevoli lavori in lingua latina e in greco antico addirittura una tragedia che ebbe una bella affermazione nella città tedesca di Lipsia.

Il 9 settembre 1956, alle Terme di Luigiane di Guardia Piemontese, veniva conferito al poeta oriundo pentonese Francesco Capilupi, residente a Brooklyn (U.S.A.), il secondo premio nel Concorso di Poesia e Letteratura <<Franco Berandelli>>, indetto dalla Rivista di Cultura e Arte <<Calabria Letteraria>>. Il lavoro premiato fu il poemetto in dialetto pentonese intitolato <<A Jinostra>> (La Ginestra). Vi sono narrate le varie fasi del duro lavoro che sostenevano le nostre donne per ricavare dalla ginestra la stoffa per la loro biancheria. Nello stesso Concorso altre quattro composizioni poetiche del Capilupi ebbero una speciale menzione. I suoi versi più belli sono stati raccolti e dati alle stampe in un volume dal titolo <<Nostalgie di Terra Lontana>>.

CONCLUSIONE

Credo di poter chiudere queste brevi pagine con parole di elogio e di gratitudine verso quanti pentonesi, in patria e fuori, hanno contribuito e contribuiscono con il loro lavoro e le loro opere al buon nome della nostra terra. Alla folta schiera di cittadini benemeriti nel passato come Luigi Capilupi, avvocato in Napoli, che nel secolo scorso fondò a Capri un ospedale che porta ancora oggi il suo nome, il dott. Giuseppe Pullano e il dott. Antonio De Laurenzi che compirono con nobiltà, disinteresse ed alta competenza, se si tien conto dei tempi proibitivi, la loro opera di medici, si aggiungono oggi i nomi di tanti pentonesi illustri tra cui è doveroso ricordare S. E. Mons. Giuseppe Pullano. Vescovo di patti, il dott. Vincendo De Laurenzi, specialista neurologico, i cui lavori di carattere scientifico hanno suscitato molto interresse sia in Italia che all’estero, specie in Francia presso l’Accademia Medico-Psicologica di Parigi e S. E. Carlo Marini, Presidente della Corte d’Assise D’appello.

Ma un ricordo particolarmente affettuoso va ai pentonesi lontani, in special modo a quelli dell’America che non hanno dimenticato, come nessuno può dimenticare, il paese natio. Essi contribuiscono con generoso entusiasmo ad ogni iniziativa al progresso della nostra cittadina: dall’abbellimento continuo della nostra chiesa che, con il suo prezioso ad artistico baldacchino in stile gotico, i suoi ori, i suoi ornamenti, richiama alla mente il cinquantennio di apostolato e di duro lavoro dell’arciprete don Salvatore Mazzuca, alle sovvenzioni per ogni opera di bene come l’Asilo Infantile e il nostro Complesso Bandistico, uno dei migliori del Mezzogiorno d’Italia, che continua degnamente quella tradizione musicale sorta a Pentone nel secolo scorso.

Nell’odierno clima di rinnovellamento e di integrali sviluppo democratico, l’ansia di elevazione e di miglioramento sempre costante nei pentonesi, trova quelle condizioni particolarmente adatte alla realizzazione di un benefico progresso.

Con lo stesso fine e con lo stesso entusiasmo con cuoi i loro padri, all’inizio di questo secolo, in un periodo quanto mai triste ed oscuro per i nostri paesi calabri, promossero la fondazione di una Società Operaia che, oltre ai fini assistenziali, si prefiggeva scopi educativi e sociali, i giovani pentonesi di oggi frequentano tutte le istruzioni di educazione popolare volute dal Governo della Repubblica, prendono parte attività alla vita politica e sociale, diventano, ogni giorno, più consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri in seno allo moderna società.

Da qui la certezza che coloro i quali oggi si allontanano dalla casa natale non sentiranno più, come diceva Corrado Alvaro, << un amore disperato del loro paese di cui riconoscono la vita cruda che hanno fuggito>>, ma da lontano, penseranno al paesello natio come ad un luogo infinitamente caro ove, insieme agli affetti, hanno lasciato un certo benessere nel lavoro e nella concordia.

ANTONIO CAPILUPI

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